I cambiamenti climatici sono oggi una delle principali questioni di interesse a livello internazionale. Alla problematica d'impatto sulle risorse naturali e sulle condizioni di vita si sta aggiungendo quello della rilevanza che tali cambiamenti stanno avendo sui sistemi economici anche in termini di trasformazione dei processi e delle tecnologie al fine di orientarle alla riduzione di quegli elementi che sono i maggiori responsabili di tali cambiamenti. E' necessario quindi affrontare tale tematica proprio nell'ottica delle opportunità che oggi si propongono
Tab. 1. Bilancio emissioni comparto agroalimentare
alle imprese agroalimentari, ma non solo, per un loro riposizionamento nei sistemi economici e soprattutto per una loro evoluzione verso un modello di sviluppo "Green" tanto auspicato in tutti i documenti programmatici ottenuti dalle conferenze internazionali, focalizzando il tutto sul settore agroalimentare e gli impatti ambientali ad esso associati.L'impatto ambientale del sistema agro-alimentare, tenendo anche conto delle attività legate al consumo degli alimenti ed allo smaltimento degli scarti, è stato studiato in dettaglio per molti cibi basilari e per alcuni prodotti trasformati.Tra i numerosi studi sull'impatto ambientale dei cibi disponibili in letteratura, il maggior numero di essi si riferiscono ai Paesi scandinavi e sono solo con estrema cautela trasferibili alla complessiva situazione Ue e a quella italiana, soprattutto a causa del mix energetico utilizzato in Svezia per produrre energia elettrica che è diverso da quello medio Ue ed italiano, in particolare.Su questo tema, c'è comunque da segnalare un recente studio di Ismea, con il quale sono state condotte alcune analisi finalizzate alla quantificazione delle emissioni prodotte dal sistema agroalimentare. Il bilancio complessivo delle emissioni del comparto agro-alimentare su scala nazionale è sintetizzato nella Tabella 1 pubblicata in questo articolo. Il valore totale delle emissioni è pari a circa 104 milioni di tonnellate di CO2eq, ovvero il 19% delle emissioni di gas serra su scala nazionale. Le emissioni sono dominate dai fattori di produzione agricola, in secondo luogo dai trasporti e dagli allevamenti. Risulta di minore entità l'impatto della trasformazione industriale, mentre il packaging assume un ruolo di rilievo come terza componente di emissioni della filiera. Assumendo il punto di vista del consumatore di prodotti alimentari, si può quindi stimare che il cittadino italiano per le sue necessità agro-alimentari è gravato da un consumo pro capite pari a 1 778 kg CO2eq./anno. Questo valore può essere confrontato con il valore complessivo delle emissioni pro capite del cittadino italiano medio che è pari a 9 453 kg CO2eq./anno.
Si possono trarre alcune considerazioni generali:
Tabella 2. Emissioni per tipologia colturale[1]
Alcune delle emissioni associate alle produzioni agricole sia in termini di prodotto totale che per unità di prodotto in peso sono presentate nella Tabella 2.
Questo tipo di analisi consentono in primo luogo di avere una panoramica generale dello status quo della situazione e poi, in un secondo momento, di identificarne le criticità di carattere ambientale in modo da ottimizzare gli interventi mirati alla minimizzazione degli impatti nella fase agricola, ma non solo. A tal fine la metodologia più diffusa è denominata appunto LCA (Life Cycle Assessment) e consente lo studio del ciclo di vita di un prodotto all'interno di confini di sistema definiti a monte dell'analisi stessa. Nello specifico, la maggior parte delle analisi mirate allo studio degli impatti di prodotti agro-alimentari ha un approccio "farm-gate", ovvero un approccio che delimita il confine dell'analisi all'interno dell'azienda produttrice (escludendo quindi trasporti, packaging, uso finale, smaltimento rifiuti, etc.)
Per quanto riguarda la produzione agricola si possono trarre le seguenti considerazioni:
Sulla base di questi risultati, sono stati ipotizzati alcuni scenari mirati ad una riduzione delle emissioni di carbonio. Tra questi, relativamente alla fase agricola, quelli di maggior rilievo sono:
Scenario 1.
Riduzione delle emissioni degli allevamenti con l'impiego di bioenergie. Il potenziale stimato è di circa 2,1 milioni di tonnellate di CO2eq. pari a circa 52,5 MEuro/anno.
Scenario 2.
Promozione della dieta mediterranea. Attraverso adeguate sostituzioni nelle preferenze quotidiane di prodotti agro-alimentari e zootecnici, con particolare attenzione agli alimenti tipici della dieta mediterranea e alla relativa proporzione con cui quotidianamente vengono distribuiti sulle tavole, è possibile stimare gli effetti in termini di risparmio di emissioni. Infatti con un'adeguata promozione della dieta mediterranea si potrebbero raggiungere riduzioni in termini di emissioni di gas serra fino all'80%. Ne risulterebbe un'emissione media annuale pro capite di GHG di 1.038 kg CO2e, equivalente ad un emissione complessiva di 61 milioni di tonnellate di CO2eq., nettamente inferiore all'attuale emissione del comparto agro-alimentare. Il risparmio di emissioni sarebbe pari a circa 43 milioni di tonnellate di CO2eq con un valore economico pari a 1.075 milioni di euro/anno.
Occorre tuttavia rilevare che sebbene queste conclusioni abbiano trovato conferma in numerosi altri studi (Alfredsson, 2004; Eshel & Martin, 2006), una seria critica ai cosiddetti consumi verdi (green consumption) è stata sollevata da Alfredsson (2004), che li ritiene una soluzione inadatta a ridurre i cambiamenti climatici indotti dalle crescenti emissioni di gas-serra. La base di questa tesi critica si avventura su sentieri più prossimi alla sociologia supponendo che i risparmi energetici che si conseguirebbero con una alimentazione più ecologicamente sostenibile, appunto i cosiddetti "consumi verdi", quale ad esempio la dieta mediterranea, andrebbero di pari passo a risparmi economici che, a parità di reddito netto complessivo, verrebbero utilizzati per l'acquisto di beni non alimentari a maggior emissioni di gas serra. La risposta a questa critica può venire da un maggiore costo e quindi dal pagamento della esternalità della riduzione delle emissioni nei prodotti agroalimentari. In questa direzione la certificazione dei prodotti rigorosa, mediante una seria analisi di LCA porterebbe all'addizionalità dei costi, calmierando il reddito verso altri beni meno sostenibili.
Federico Chiani
f.chiani@ismea.it
PianetaPSR numero 8 - marzo 2012