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Tendenze 

Quei 3 milioni di orti che tappezzano le città

Convegno Inea sull'hobby farming: dai piccoli appezzamenti alla gestione collettiva dei terreni abbandonati il ruolo integrativo dell'agricoltura per l'autoconsumo e per attività sociali
vendemmia nella Cooperativa Sociale agricola "Agricoltura Capodarco" di Grottaferrata

Le statistiche e gli studi ufficiali solitamente analizzano il sistema agricolo concentrando l'attenzione sulle imprese professionali e la superficie agricola da esse utilizzata, trascurando quasi sempre le altre forme di attività agricola (per autoconsumo, amatoriale, sociale, ecc.) che pure hanno importanti ricadute di tipo economico, ambientale e sociale. Tali attività, realizzate prevalentemente in aree urbane o peri-urbane, coinvolgono persone occupate in altri settori produttivi o uscite dal mercato del lavoro, e sono prevalentemente orientate alla produzione di ortaggi, frutta, vite e olivo. I raccolti sono utilizzati in massima parte per autoconsumo, occasioni di regalo, scambio o vendita diretta. Non trascurabili anche gli effetti sul paesaggio agrario e sul verde cittadino.
Su questi temi, nell'ambito del progetto "Promozione della cultura contadina" che vede anche il contributo del Mipaaf, l'Inea ha realizzato un seminario di studio con l'obiettivo di analizzare i diversi aspetti che caratterizzano queste forme di agricoltura, gli effetti che hanno sull'ambiente, sul paesaggio e sulla salute.
Oggi la distinzione tra agricoltura come luogo di produzione di alimenti e città come luogo di consumo è sicuramente riduttiva. Da una parte l'agricoltura produce anche altri tipi di beni (ambientali, sociali, educativi, relazionali, e lo fa a beneficio delle aree rurali ma più in generale per tutti. Dall'altra è la città a presentarsi più "sfumata verso la campagna", con l'alternarsi di zone variamente urbanizzate a zone a verde (coltivato o no), e con la presenza di figure "prestate" all'agricoltura. In molte zone periurbane questo "gemellaggio" avviene con la presenza di aziende agricole, professionali e non, che producono alimenti e servizi. Tuttavia è possibile notare come siano in costante aumento anche fenomeni di recupero di terreni abbandonati, privati o pubblici, da parte di soggetti a vario titolo interessati a un uso attento e responsabile della risorsa terra. È il caso dei terreni utilizzati a fini sociali e terapeutici da cooperative e associazioni, ma anche degli orti curati con scopi educativi e formativi, come dimostra l'esperienza degli orti collettivi presenti a Roma (oltre 100, secondo la mappatura realizzata dallo studio UAP), o degli spazi pubblici recuperati per migliorare la vivibilità delle zone urbane in degrado e restituite alla collettività. Accanto a questi fenomeni, appaiono sempre più evidenti le esperienze di soggetti che si organizzano per realizzare orti per l'autoconsumo e per offrire spazi comunitari e del tempo libero.
Ad occuparsi della terra, quindi, non sono solo gli imprenditori agricoli o i nuovi contadini, ma anche famiglie, occupati in altri settori, disoccupati, pensionati, giovani che vogliono tentare nuovi percorsi di vita.

 
 
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Da un'indagine condotta da Nomisma nel corso del 2011 con l'obiettivo di mappare e quantificare
il fenomeno, è emerso che in Italia il numero di agricoltori per passione è pari a 1,2 milioni (il 2,4% della popolazione con più di 18 anni) mentre i coltivatori di orti sono 2,7 milioni (il 5,3% della popolazione con più di 18 anni). Il terreno utilizzato dagli hobby farmer è in media di 0,7 ettari, ma il 15% coltiva terreni con estensioni superiori ai 1 ettaro e il 12% tra 0,6 e 1 ettaro.  I coltivatori di orti, invece hanno a disposizione porzioni molto più piccole di terreno, pari in media a poco meno di 160 mq, generalmente adiacente all'abitazione principale e nella quasi totalità dei casi con una produzione destinata al consumo familiare.
A guidare queste persone ci sono motivazioni diverse, dal recupero immaginario dell'infanzia e dei ricordi al sogno di un'alimentazione più sana, dalla voglia di vivere in un ambiente meno inquinato,  anche se per poche ore a settimana, alla voglia di creare in poco tempo qualcosa di utile e di consumarlo in momenti di spensierata convivialità.
Le motivazioni non sono solo economiche (autoconsumo e integrazione al reddito) e non derivano solo dalla crisi dell'agricoltura convenzionale. Derivano anche da un senso di responsabilità verso l'ambiente e la società, come avviene in quei progetti collettivi che riguardano la reintegrazione delle funzioni produttive della campagna alla città (Transition Town), la riqualificazione delle zone degradate, l'integrazione di fasce emarginate, come gli anziani o gli immigrati.
Si tratta insomma di un fenomeno molto interessante, di cui generalmente non  si occupano le politiche, in quanto economicamente poco rilevanti, anche se sono sempre di più gli amministratori che si rendono conto della loro importanza per la gestione del territorio e per la coesione sociale.
Spesso queste persone non hanno tutte le competenze necessarie per svolgere questa attività e per loro non sono previsti supporti tecnici e consulenze, tuttavia esse riescono a produrre e ad avere cura del territorio, restituendo alla collettività parti di suolo spesso abbandonate.

 
 

Francesca Giarè

 
 
 

PianetaPSR numero 9 - aprile 2012