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Filiera corta, filo diretto produttore-consumatore

Accorciare i passaggi e ridurre le intermediazioni consente agli agricoltori di recuperare valore aggiunto e dare una mano anche all'economia locale e alla valorizzazione del territorio

La filiera corta in agricoltura è spesso associata a una serie di aggettivi che rimandano ai requisiti dei prodotti - stagionalità, freschezza, genuinità - nonché a concetti più o meno complessi come territorialità, informazione sull'origine dei prodotti, sicurezza alimentare e «km 0».Quest'ultima espressione, in verità, indicando i chilometri che un cibo percorre dal luogo nel quale avviene la sua fase produttiva a quello in cui è consumato, mira ad esprimere l'entità dell'impatto ambientale del suo trasporto che non sempre è proporzionale alla filiera corta. Perché la filiera corta o circuito breve (si veda figura) è quel particolare tipo di commercio basato sul rapporto diretto tra produttore e consumatore, singolo o associato, che accorcia il numero degli intermediari commerciali ma non i chilometri; con un semplice «click di mouse» sul sito del produttore, infatti, è possibile perfezionare, con un passaggio diretto, l'acquisto di un prodotto agricolo dal Sud al Nord dell'Italia o far sì che un vino lasci una delle tante cantine italiane per arrivare all'ultimo piano di un grattacielo di New York.

 

Ma a parte il commercio elettronico e la vendita su catalogo, le più diffuse forme di filiera corta si realizzano in un contesto locale, dove è possibile scegliere, valutare e acquistare prodotti tipici, freschi, maturi e di stagione, che mantengono inalterate le proprietà organolettiche e nutrizionali, a costi più contenuti rispetto ai canali tradizionali: si va dalla vendita diretta in azienda ai mercati contadini («farmer's market»); dalle consegne settimanali su abbonamento alle famiglie («box schemes») alle vendite attraverso i Gruppi di acquisto solidale (GAS) e i Gruppi organizzati di distribuzione (GODO); dalla raccolta dei prodotti direttamente nei campi («pick-your-own») ai distributori di latte crudo; dalle forniture alla ristorazione alle cooperative di consumo fino alle nuove modalità di associazione fra produttori e consumatori (CSA)La filiera corta non è solo una moda, in un momento in cui la crisi economica ha indebolito prima di tutto la capacità di acquisto delle famiglie e l'attenzione del consumatore è sempre più spostata sulla sicurezza alimentare. Se, da un lato, questa forma di commercializzazione diventa uno strumento di sostegno del consumo alimentare, oltre che una risposta alla crescente domanda di prodotti agroalimentari naturali e di qualità elevata, dall'altro consente all'agricoltore, solitamente anello debole della filiera agroalimentare, di riappropriarsi del suo ruolo attivo nel «sistema» del cibo, con l'attribuzione del giusto prezzo per le sue produzioni e la garanzia di sbocchi di mercato. La filiera corta non è nemmeno una novità, perché in un passato assai remoto, in assenza di conoscenze e strumenti (mezzi tecnici di conservazione, mezzi di trasporto, ecc.), la circolazione dei cibi avveniva in un ristretto ambito territoriale.

La trasformazione dell'organizzazione produttiva, passata da modelli artigianali e locali a modelli industriali e delocalizzati, ha determinato un progressivo aumento delle distanze geografiche e culturali tra consumatori e produttori, nonché un elevato impatto ambientale, dovuto alle tecniche intensive di preparazione, trasformazione e confezionamento e ai trasporti su grandi distanze.Oggi, con la «globalizzazione», intesa come mescolanza e arricchimento di culture, i prodotti internazionali arrivano sulle nostre tavole e i prodotti italiani arrivano sulle tavole di tutto il mondo.Ma a fronte di una maggiore disponibilità di alimenti («food security»), alla standardizzazione dei prodotti e alla perdita della ricchezza e delle varietà, è aumentata la sensibilità in termini di sicurezza alimentare («food safety»). Fenomeni culturali prima ancora che economici hanno generato una forte innovazione nell'organizzazione del consumo e degli acquisti e nell'organizzazione della produzione, con una visione comune sul cibo e sul rapporto tra cibo, ambiente e territorio. Tutto ciò incide sulle pratiche produttive e di consumo, alimenta l'attenzione dei media e dei decisori politici, stimola la reinternazionalizzazione dei processi di trasformazione e il riorientamento verso prodotti di qualità e verso la filiera corta. Anzi, sempre più spesso si assiste all'integrazione di più soggetti - agricoltori, consumatori, organizzazioni professionali agricole, associazioni del biologico, associazioni culturali e ambientaliste, amministrazioni pubbliche - nella promozione e attivazione di esperienze collettive di filiera corta di natura concertativa.In tal modo, sperimentando nuove forme di scambio, incontro e cooperazione, chi produce recupera a monte della filiera il proprio margine di reddito, altrimenti rosicchiato dal modello dominante di commercializzazione nel settore agroalimentare, caratterizzato dalla presenza di intermediari e dalla prevalenza della Grande distribuzione organizzata (GDO); chi acquista, invece, ritrova il legame tra territorio e prodotti alimentari di qualità e recupera quel rapporto fiduciario con chi «ci mette la faccia» nel vendere, traendone convenienza economica, perché la riduzione del numero di intermediari abbatte il prezzo finale. Inoltre, agricoltori e consumatori contribuiscono a mitigare l'impatto sull'ambiente (riduzione dei consumi energetici e dell'inquinamento legato al trasporto e alla frigo-conservazione, imballaggi ridotti o assenti, ecc.).

 
 

Lo sviluppo di sistemi di filiera corta è sostenuto nella politica per lo sviluppo rurale 2007-2013 attraverso azioni che mirano al miglioramento del reddito degli agricoltori, alla riduzione del peso economico dell'intermediazione, alla fornitura di servizi alla popolazione, come i mercati locali. Sebbene la filiera corta sia una realtà in crescita, ma ancora limitata, e il suo contributo allo sviluppo rurale non sia quantificabile, non si può non riconoscere la capacità di questa forma di commercializzazione nel creare valore nelle aree rurali. Nel corso di una recente conferenza sulle agricolture locali e le filiere corte, la Commissione europea ha dichiarato che il 15% delle aziende agricole dell'UE commercializzano a livello locale oltre la metà della loro produzione e, pur  prendendo atto di contraddizioni (a fronte della richiesta di prodotti locali l'offerta risulta ancora poco strutturata e poco accessibile) e pregiudizi (perché aiutare aziende poco competitive che producono per nicchie di mercato, spesso di lusso?), sostiene che le filiere corte, adeguatamente strutturate, aiutano gli agricoltori a ricavare maggiori introiti dal mercato per il loro prodotti e a mantenere l'occupazione nelle zone rurali (http://ec.europa.eu/agriculture/events).
La comunità locale, infatti, ne trae benefici di natura economica, sociale e ambientale, attraverso la valorizzazione dei prodotti e del territorio, la tutela della biodiversità e lo sviluppo della cultura e delle tradizioni locali. Per questi motivi, nella proposta per la Pac 2014-2020 l'intervento sulla filiera corta è indicato come strategico  e ad esso sono dedicati una serie di strumenti specifici ed innovativi. Sono previsti,  in tal senso, interventi che producano un forte impatto sullo sviluppo delle zone rurali: incentivi per la creazione di filiere corte, la costituzione di associazioni di produttori, il sostegno all'innovazione delle imprese coinvolte nei circuiti brevi,

Focus di Inea sulla filiera corta
Il seminario «Agricoltori e filiera corta. Profili giuridici e dinamiche socio-economiche», organizzato il 30 maggio dall'Inea nell'ambito del progetto «Promozione della cultura contadina», (relazioni disponibili sul sito: www.inea.it/public/it/eventi) ha affrontato il tema della filiera corta nella sua accezione di rilocalizzazione dei circuiti di produzione-distribuzione-consumo, in cui si valorizza il legame delle produzioni agricole con il territorio e se ne favorisce il consumo sui mercati locali. Nella stessa giornata si sono svolti, in collaborazione con il Consorzio universitario per la ricerca economica e per l'ambiente (Cursa), due focus group al quale hanno partecipato accademici, esperti di settore, imprenditori e rappresentanti di categoria per riflettere sugli impatti delle filiera corta sulle imprese, sui territori e sui consumatori.
Dai lavori è emerso, in particolare, come la filiera corta renda possibile la sperimentazione di nuove forme di commercializzazione, modulabili in relazione agli interessi dei consumatori e dei produttori, con ricadute positive per la collettività/comunità locale. Tuttavia, non sempre la filiera corta riesce a determinare un reale calo dei prezzi al consumo e, pertanto, si rendono necessarie forme di aggregazione fisiche o virtuali di produttori/prodotti in modo da attivare dinamiche economiche vantaggiose sia per i produttori sia per i consumatori; inoltre, è stata sottolineata la necessità per gli agricoltori di operare all'interno di una rete di soggetti/esperienze/strumenti, in modo da "riabituarli" alla dimensione commerciale del loro mestiere e facilitare le loro capacità comunicative e relazionali.
 

incentivi per lo sviluppo di azioni integrate capaci di correlare agricoltura e turismo, ecc., il tutto potrebbe diventare anche oggetto di specifici sottoprogrammi di intervento. Secondo la Commissione europea, uno degli elementi di rinnovo della politica di sviluppo rurale dopo il 2013 sarà quello di «rimettere in comunicazione tra loro i grandi bacini di utenza urbani e i bacini di produzione circostanti, favorendo le iniziative dei mercati nelle città».  E se per lo sviluppo della filiera corta, da un lato, la nuova Pac, che è indice della volontà di costruire «una politica agricola per tutti e per tutti i tipi di aziende agricole», propone interventi a supporto dei piccoli agricoltori e strategie per stimolare la consapevolezza e l'attenzione dei consumatori, dall'altro tanto gli agricoltori quanto i decisori pubblici dovranno fare «una scelta che richiede di uscire dagli schemi abituali».

Sabrina Giuca
giuca@inea.it

 
 
 

PianetaPSR numero 11 - giugno 2012