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AGRICOLTURA&AMBIENTE

Una "diga" contro le colate di cemento sui campi

Plafond alle superfici agricole edificabili e vincoli sulle aree che hanno gli aiuti pubblici: così il ministro Catania vuole arginare la cementificazione dei suoli agricoli  che ingoia 100 ettari al giorno 

                                 Gli ettari persi dall'agricoltura

Variazione SAU assuluta e percentuale rispetto al 1971 (elaborazione Mipaaf su dati Eurostat)
Variazione SAU assuluta e percentuale rispetto al 1971 (elaborazione Mipaaf su dati Eurostat)

 Un limite nazionale alla superficie agricola edificabile, sul modello tedesco, che è già in atto dal 1998. E poi ancora il divieto di mutamento di destinazione per terreni interessati da finanziamenti statali o comunitari. Inoltre l'abrogazione della norma che consente agli Enti locali di utilizzare una quota dei proventi dei titoli edili per finanziare le spese correnti. Questi i tre cardini su cui si basa il  "Disegno di legge quadro in materia di valorizzazione  delle aree agricole e di contenimento del consumo di suolo", illustrato dal Ministro Catania nel corso di un convegno svoltosi a Roma, presso la biblioteca della Camera dei deputati, con la presenza di Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, e di Sergio Rizzo, giornalista del Corriere della Sera. Titolo del convegno: "Costruire il futuro: difendere l'agricoltura dalla cementificazione".
I numeri, del resto, parlano chiaro. Tra il 1971 e il 2010 la Sau (superficie agricola utilizzata)  è crollata in Italia da quasi 18 milioni di ettari a poco meno di 13 milioni, perdendo una superficie di 5 milioni di ettari. Per avere un'idea, l'equivalente di Lombardia, Liguria ed Emilia Romagna messe insieme.

 
 

 Il fenomeno è dovuto a due fattori: la cementificazione selvaggia e anche l'abbandono delle terre più marginali da parte degli agricoltori. Mentre quest'ultimo è un fattore che, seppure con andamento  "a fisarmonica" (quindi non irreversibile),  il settore si porta dietro da molti anni, nel mirino dell'iniziativa del ministro Catania c'è soprattutto il primo, l'assalto della cementificazione alle superfici agricole, che ha un impatto irreversibile sul territorio, con pesanti ricadute non solo sociali e ambientali, ma anche di carattere economico, in un Paese, come l'Italia, che riesce a produrre solo l'80% del proprio fabbisogno alimentare. L'Ispra calcola che dagli anni '50 siano stati "impermeabilizzati" (cementificati quindi in maniera irreversibile) 1,5 milioni di ettari, una superficie pari alla Calabria.  E' proprio l'impermeabilizzazione del suolo (soil sealing) il fattore che, come si diceva, incide maggiormente sull'approvvigionamento alimentare in quanto interessa i terreni migliori: fertili, pianeggianti, limitrofi ai centri abitati, ricchi di infrastrutture e di facile accesso. Un fenomeno, quello della cementificazione di aree vocate per tradizione all'agricoltura, saltato agli occhi proprio recentemente durante il tragico terremoto che ha colpito l'Emilia Romagna e parte della Lombardia, quando le immagini dei tg hanno mostrato il serpentone di capannoni industriali cresciuti come funghi negli ultimi anni e altrettanto rapidamente crollati  a causa delle scosse. La superficie cementificata in Italia è passata dal 2% degli anni '50 al 6,7% di media attuale. "Una percentuale che solo apparentemente potrebbe sembrare bassa", ha affermato il Ministro Catania. "Cominciamo a togliere le aree montane o quelle più impervie, quelle lacustri ecc. e vedremo come il fenomeno è più che preoccupante. Addirittura nella Pianura padana, ovvero l'area agricola più vasta e produttiva della penisola italiana, la percentuale media di superfici edificate è pari al 16,4% del territorio. 
Dal punto di vista dell'approvvigionamento alimentare Il fenomeno, fino ad oggi, è stato in parte "ammortizzato" perché la perdita di Sau non si è tradotta in una proporzionale perdita di produzione agricola (e quindi di disponibilità alimentare) in quanto l'introduzione della prima "rivoluzione verde", con nuove tecniche agronomiche e genetiche, ha permesso di innalzare la produttività per ettaro ed intensificare le attività zootecniche: si stima che negli anni'50 un ettaro a frumento produceva 1,4 tonnellate mentre oggi si moltiplica fino a 4 tonnellate; negli anni Sessanta un contadino si prendeva cura in media di 4 animali, oggi deve provvedere alla gestione di 26 capi. Attualmente, tuttavia, l'incremento degli input sul territorio non è più in grado di tradursi in un incremento di produzione.
E' la situazione futura, dunque, che dovrebbe preoccupare ancor più, se non si dà luogo ad una inversione di rotta. Abbiamo meno di 13 milioni di ettari di Sau, ma per coprire i consumi della popolazione  in termini di cibo, fibre tessili e biocarburanti l'Italia avrebbe bisogno di 61 milioni di ettari. "La situazione contingente della crisi internazionale - ha proseguito Catania - non ci permette neanche di poter affermare con certezza se di qui a 50 anni saremo in grado di comprare sul mercato estero ciò di cui abbiamo bisogno. Nessuno ce lo garantisce, e il livello di auto-approvvigionamento alimentare complessivo del nostro paese (le stime non sono semplici) si può dire che oggi sia più o meno dell'80%"

 

Deficit di suolo agricolo dei Paesi Ue (Milioni di ettari)

Fonte: elabirazione Mipaaf su dati SERI, 2011

 Naturalmente, e anzi questo forse è l'aspetto più evidente a tutti, la cementificazione e la perdita di terreno agricolo incidono massivamente anche su tutto il sistema ambiente - territorio anche in termini di paesaggio e biodiversità. Da qui la necessità di porre le basi per il nuovo modello di sviluppo invocato dal ministro. " Non si tratta certo di propugnare il ritorno ad un Paese agreste - - ha sottolineato Catania - ma l'Italia non può rincorrere le produzioni di massa a basso costo né l'industrializzazione forzata. Occorre puntare sulla qualità, e industria e servizi devono crescere nel rispetto del territorio e dell'ambiente".
Questo lo scenario da cui ha preso le mosse l'iniziativa legislativa del ministro; una bozza di disegno di legge  su cui il ministro come si aspetta il contributo fondamentale delle organizzazioni agricole e delle associazioni del settore per mettere a punto ancora meglio, in un clima di concertazione, il disegno stesso.
Il primo punto su cui si basa il disegno, è quello della limitazione della superficie agricola nazionale edificabile. Viene determinata cioè l'estensione massima di superficie agricola edificabile nazionale.

Le Regioni, a loro volta, la stabiliscono su scala regionale e la ripartiscono tra i Comuni. Il modello è quello presente in Germania già dal 1998. Il secondo è quello del "divieto di mutamento di destinazione": i terreni agricoli in favore dei quali sono stati erogati aiuti di Stato o aiuti comunitari non possono avere una destinazione diversa da quella agricola per almeno  dieci anni dall'ultima erogazione. Il terzo asse su cui poggia lo scudo salva-suolo agricolo, prevede l'abrogazione della norma che consente agli Enti locali di utilizzare una quota dei proventi dei titoli edili per finanziare le spese correnti. Una misura che impedirebbe di fatto ai Comuni di "fare cassa" ai danni dei terreni agricoli.
Completano il quadro, l'istituzione di un comitato di  monitoraggio con la funzione di tenere sotto osservazione il consumo di superficie agricola sul territorio nazionale e il mutamento di destinazione d'uso dei terreni agricoli. Sono infine prese viste misure di incentivazione per gli Enti locali e i privati che procedono al recupero di nuclei abitati rurali e la costituzione di un Registro, presso il Mipaaf,  dei comuni che hanno adottato strumenti urbanistici in cui non è previsto alcun ampliamento delle aree edificabili o in cui è previsto un ampliamento delle aree edificabili inferiore al limite individuato dalle regioni.

 
 

Andrea Festuccia
a.festuccia@ismea.it

 
 
 

PianetaPSR numero 12 - luglio e agosto 2012