L'internazionalizzazione è un passaggio importante non solo in termini di presidio dei mercati esteri, ma anche come conoscenza dei modelli più avanzati, dei processi innovativi, della cultura agricola. In una parola: formazione. E' questa la molla che ha spinto l'Anga - Confagricoltura giovani - a organizzare una serie di stage per i propri associati, selezionati in base alla conoscenza dell'inglese e ad alcuni skill minimi di base, presso importanti aziende del settore negli Usa e in Australia.
Negli Stati Uniti si va dalle campagne 'coast to coast' di raccolta con macchinari tecnologicamente avanzati agli allevamenti suini da riproduzione (Illinois). C'è inoltre l'opportunità di formarsi sulla realizzazione e manutenzione di campi da golf (Washington); sul piano più tecnologico, è possibile impegnarsi nella ricerca applicata sugli alberi da frutto (Washington), o sul grano di qualità destinato all'industria (Oregon). Nelle grandi farm australiane sono organizzati stage in aziende di seminativi, allevamenti di bestiame e, perché no, anche piantagioni di banane. Per i viticoltori c'è la possibilità di un tirocinio come operatore di cantina (cellarhand).
Abbiamo chiesto al Presidente dell'Anga, Raffaele Maria Maiorano, come nasce questa iniziativa.
Innanzitutto, mi piace sottolineare come la crescita professionale e umana, che noi prevediamo possa essere di ottimo livello,in questi stage, non è pensata soltanto per il giovane imprenditore che andrà materialmente a svolgere lo stage.
Certo, il primo beneficiario sarà lui, che potrà riportare la sua esperienza nella sua azienda, ma lo spirito associativo che ci contraddistingue mi permette di dire che le esperienze acquisite saranno patrimonio di tutti gli associati, e noi prevediamo momenti di condivisione fattiva di queste esperienze. E' chiaro poi, se vogliamo parlare della natura del progetto, che l'iniziativa si sposa bene con la realtà dei nostri giovani associati: oltre alla dimensione aziendale più alta della media - che permette di sovrapporre meglio le esperienze in questi due Paesi - c'è una conoscenza dell'inglese molto diffusa. Contiamo quindi in una grande partecipazione, e in effetti le domande sono già tantissime: naturalmente non potremo esaudirle tutte"
L'impressione è che, a fronte di una innegabile attenzione generale che in questi anni è stata posta sul "fare agricoltura secondo la tradizione", progetti come questi riportino la barra su quella che qualche decennio fa, sull'onda della "rivoluzione verde", era una ricerca della produttività, della massima resa, ottenuta proprio grazie al confronto con le esperienze estere. Penso a esempio i primati produttivi della Frisona da latte e degli ibridi di mais. Come dire, un "ritorno al futuro"?
"Certo, è evidente che occorre lavorare su economie di scala, ma bisogna farlo puntando sempre e soltanto sulla qualità. Il nostro terreno, parliamoci chiaro, non può essere quello della guerra dei prezzi. Senza qualità non ci si muove. Ma anche senza innovazione. Se è naturale l'evoluzione della Pac rispetto a un sistema che evidentemente non funzionava più nel modo in cui era costituito, d'altra parte la sfida in questo momento è mettere insieme evoluzione tecnologica, innovazione e risparmio. Altrimenti non si va avanti. Poi bisogna puntare su una gestione amministrativa valida e all'avanguardia, ma soprattutto e sempre sulla qualità. Ecco perché andare a studiare negli Usa o in Australia: la ricerca sulle varietà sementifere o sulle genetica legata alla zootecnia lì è all'avanguardia, ma lo è anche il marketing, si può imparare meglio quale deve essere il rapporto con i buyer, l'universo del packaging ecc. Bisogna cogliere tutte queste occasioni, e ne cito un'altra: proprio negli ultimi giorni abbiamo organizzato un viaggio al Global 500 Conference di Dublino, una grande occasione di network, dove ciascun partecipante potrà confrontarsi con alcuni dei più importanti allevatori mondiali di bovini da carne e da latte, sulla propria gestione aziendale, condividere e scambiare idee con loro e acquisire nuovo know how, con l'obiettivo di promuovere una produzione efficiente, redditizia e sostenibile".
Molto interessante. Pensate di fare da soli o chiedete un qualche contributo pubblico?
"Lo Stato ci deve in qualche modo aiutare, e non parlo dei soliti finanziamenti a pioggia. faccio un esempio: puoi fare tutti i corsi per la gestione degli strumenti informatici che vuoi, ma se resta il digital divide fra le aree del Paese, gli sforzi degli imprenditori serviranno a poco. Stessa cosa per la Pec e la firma digitale: occorre esser messi nella condizione di contribuire allo snellimento delle procedure burocratiche".
Torniamo agli stage: cosa devono fare gli associati per partecipare e, soprattutto, la bilancia costi-benefici cosa dice?
"Dice che è un investimento intelligente. Anche perché l'investimento iniziale (viaggio, assicurazione, iscrizioni varie) si aggira sui 2.000-2.500 euro, ma questi vengono ripagati (lasciando stare ovviamente tutto ciò che si apprende) anche economicamente, perché gli stage sono retribuiti dalle aziende. Materialmente noi fungiamo da intermediari: stiamo ricevendo centinaia di richieste, le vaglieremo e "scremeremo", per poi inviarle in Usa e Australia alle società in loco, collegate con le Università e le aziende, che opereranno la selezione finale. Aggiungo che, oltre alle attività note, c'è un'altra possibilità per chi partecipa. Nel periodo di pausa degli stage, che durano anche da uno a tre mesi, è possibile tramite le Università fare una sorta di "Campo+Campus", cioè dalla cantina (ad esempio) passare a dei mini-master, ottimi per la lingua e per la crescita personale oltre che professionale.
E i campi da golf e le banane? Non stonano un po' col resto delle attività?
Allora: per i campi da golf non sottovaluterei l'opportunità. Queste esperienze ci sono anche da noi in Italia; certo, non stiamo parlando di lavori agricoli tradizionali, è ovvio, ma noi abbiamo sempre parlato, in associazione, di "agronetwork", quindi cerchiamo di affiancare all'agricoltore classico anche altre tipologie di imprenditore o di lavoratore. Per quanto riguarda le banane, il discorso è un altro: non dobbiamo pensare anche qui solo in termini di trasportabilità dell'esperienza di coltivazione, ma in termini di apprendimento di tutta una serie di strumenti di gestione aziendale, di marketing, di logistica, sui quali evidentemente in determinati Paesi c'è qualcuno che può insegnarci qualcosa.
Per info sugli stage: anga@confagricoltura.it
Andrea Festuccia
PianetaPSR numero 24 - settembre 2013