La Turchia è il Paese che da più lunga data ha presentato domanda di adesione all'Unione Europea. A tal fine, sta gradualmente adeguando la propria legislazione a quella comunitaria, dando attuazione al cosiddetto "acquis communautaire". L'acquis è il complesso delle determinazioni di natura legislativa, politica e giurisprudenziale dell'UE adottate nelle fasi dell'integrazione europea dai Paesi aspiranti, che sono tenuti ad accettarle al momento della richiesta di associazione.
L'accordo di Ankara del 1964 tra la Turchia e l'allora Comunità europea, era diretto alla creazione di una unione doganale come preludio all'adesione della Turchia alla Comunità europea. Tale accordo prevedeva tre fasi per l'istituzione progressiva di un'unione doganale:
I negoziati con la Turchia hanno prodotto le prime agevolazioni tariffarie a partire dal 1971 dando vita alla circolazione delle merci, all'interno dell'unione doganale europea, secondo il regime della libera pratica (sono considerati in libera pratica nell'UE o in Turchia le merci provenienti da Paesi terzi, a fronte delle quali vengono espletate le formalità doganali d'importazione ed assolti i dazi esigibili nell'UE o in Turchia, sempre che non abbiano beneficiato di una restituzione, totale o parziale, degli oneri doganali).
Nel 1999 è stata applicata alla Turchia una strategia di preadesione, riconoscendo pienamente lo status di Paese candidato all'adesione, ma i colloqui sono cominciati con ritardo nel 2005, incassando fino ad ora l'apertura di 13 capitoli negoziali sui 35 previsti dal processo di integrazione, e chiudendone solo uno.
I rapporti con l'UE continuano ad essere condizionati negativamente dall'assenza di sviluppi tangibili nei negoziati di adesione. Tuttavia, l'apertura del capitolo 22 sulle politiche regionali (5 novembre 2013), dopo la rimozione del veto francese, segna un primo sviluppo positivo. Da parte turca si nutrono forti aspettative per l'apertura di altri capitoli ed in generale per una ripresa concreta dei negoziati di adesione. Nel frattempo, davanti ad un'Europa che arranca e che non prende coscienza delle opportunità che la Turchia rappresenta, il consenso del popolo turco per l'Ue cala inesorabilmente: 63% nel 2005, 44% oggi; nello specifico tra i giovani: 74% nel 2005, 47% oggi.
I rapporti commerciali tra l'Unione europea e la Turchia sono eccellenti e l'Italia si colloca sempre ai primi posti tra i principali partner del Paese. In particolare, sono apprezzabili sia il livello delle esportazioni che quello delle importazioni dalla Turchia verso il nostro Paese: 20 miliardi di dollari di interscambio l'anno, sei di surplus a nostro favore e 1.200 imprese italiane operanti nel Paese.
Nel settore agroalimentare, le importazioni riguardano in particolare: prodotti della pesca, ortofrutticoli freschi e refrigerati (nocciole in particolare), cereali, preparazioni di ortaggi e legumi e bevande alcoliche. Il settore degli ortofrutticoli freschi e delle preparazioni di frutta e ortaggi rappresentano, in valore, circa il 77% dell'import. Mentre i settori produttivi di maggiore interesse per l'esportazione sono: formaggi, piante vive e floricoltura, caffè, cereali, cioccolata, prodotti della panetteria e pasticceria, margarina, preparazioni alimentari, vini, tabacchi grezzi.
BARRIERE TARIFFARIE
Le questioni riguardanti le barriere all'entrata nel mercato turco ed in particolare quelle attinenti alla presenza di dazi, nonché altre misure di protezione di tipo non tariffario, devono essere inquadrate nel contesto dell'Accordo di Unione Doganale che lega il Paese all'Unione Europea sin dal 1° gennaio 1996. L'Accordo, che lascia al momento scoperto solo il settore agricolo e parte di quello dei servizi, ha sinora ben funzionato, come riconosciuto peraltro anche dalla Commissione Europea che persegue l'obiettivo di espanderne l'applicazione nei campi sinora esclusi.
Tuttavia la Turchia rimane, ancora oggi, inadempiente rispetto a molti impegni presi con l'Unione eurropea, in base ai quali Ankara avrebbe dovuto rimuovere le barriere tecniche all'ingresso dei prodotti comunitari entro il 31 dicembre 2000, al fine di adeguarsi completamente all'acquis comunitario in materia. Secondo la Commissione, la Turchia ha compiuto qualche progresso in allineamento, in particolare verso l'eliminazione delle pratiche discriminatorie in materia di tabacco. Ma l'aumento delle accise sulle bevande alcoliche contraddice il piano d'azione concordato con la Commissione, pur trattandosi di un requisito fondamentale per ulteriori progressi nei negoziati di adesione.
BARRIERE NON TARIFFARIE
Per quanto riguarda lo sdoganamento dei prodotti, si segnala un problema di carattere generale, derivante dalla rigidità della normativa in base alla quale le merci importate in Turchia, devono essere sdoganate entro il termine perentorio di 20 giorni se provenienti via terra o aria, oppure entro 40 giorni se provenienti via mare. Qualora la merce non venga sdoganata in tempo utile, può essere nazionalizzata e venduta all'asta. Tale procedura comporta spesso problemi per gli operatori italiani che, per via di ostacoli burocratici di vario genere (verifiche sul rispetto di standard tecnici, certificazioni sanitarie) o a causa dell'operato in mala fede di importatori turchi che tardano a ritirare la merce in dogana, vengono espropriati senza avere la possibilità di far rientrare la merce in Italia. Le più numerose restrizioni alle importazioni indicate dagli esportatori riguardano i prodotti agricoli ed agroalimentari, sottoposti di fatto un regime di importazione a licenza.
CARNI E BOVINI VIVI
La Commissione ha ritenuto necessario che la Turchia riapra le sue frontiere al commercio di carni e bovini con l'Unione Europea, mettendo fine a quella che si configura come una vera e propria infrazione rispetto alle obbligazioni internazionali che discendono dalla Decisione 1/98 del Consiglio di Associazione UE-Turchia che stabiliva importanti liberalizzazioni in questo settore.
In ogni caso, per l'esportazione di bovini da macello, bisogna seguire le procedure per la partecipazione alle gare dello Stato, organizzate da un ente pubblico, il " Turkiye Et Ve Balik Kurumu Genel Mudurlugu ".
Secondo le informazioni dell'EBK, l'importazione di carne può esser effettuata anche da parte degli imprenditori privati, tenendo conto che il dazio doganale che riguardano le carni è del 75% al fine di proteggere i produttori locali.
OGM
Per quanto riguarda gli Organismi geneticamente modificati (OGM), il Ministero dell'Agricoltura turco (MARA) aveva varato il 26 ottobre 2009 una nuova regolamentazione relativa all'importazione, alla lavorazione, all'esportazione e al controllo dei prodotti alimentari contenenti sostanze geneticamente modificate..
Nove sono le categorie di sostanze che rendono obbligatori e sistematici i controlli: il mais e derivati, i semi di soia, la colza, le patate, i prodotti a base di cotone, il riso grezzo, la papaya, i pomodori e le barbabietole da zucchero. Dopo vari interventi della Delegazione UE, la materia continua ad essere caratterizzata da incertezza assoluta, che lasciano purtroppo spazio alla libera iniziativa ed interpretazione da parte di altre istanze del Ministero dell'Agricoltura turco nonché degli Uffici regionali di quel dicastero.
FORMAGGI
Sembrerebbe risolta la problematica relativa all'applicazione della nuova certificazione sui formaggi, la cui entrata in vigore è stata posticipata al 31 dicembre 2013.
Recentemente il Ministero dell'agricoltura turco ha fatto pervenire alla nostra Ambasciata ad Ankara una nota, datata 13 novembre 2014, in cui comunica che per i prodotti lattiero-caseari ottenuti da latte pastorizzato "non esistono restrizioni di alcun genere" e che, a partire dal 31 dicembre 2014., dovranno essere accompagnati dal certificato inviato a suo tempo dall'Ambasciata turca a Roma al nostro Ministero della Salute.
Inoltre, per i prodotti derivati da latte non trattato termicamente (quali parmigiano e grana padano, per i quali non si prevede un certificato ad hoc), le autorità turche accettano qualsiasi certificato redatto dal Paese di origine.
TUTELA DEI DIRITTI DELLA PROPRIATA' INTELLETTUALE
Il sistema della protezione della proprietà industriale in Turchia si basa su tre pilastri: gli organismi amministrativi (l'Istituto turco dei Brevetti, responsabile per l'applicazione della normativa), gli organismi preposti all'applicazione della legge (Corti speciali per la tutela dei diritti di privativa, Polizia, Dogane) e i detentori dei diritti, inclusi i consulenti dei marchi e dei brevetti abilitati a depositare le domande di registrazione.
Anche se l'applicazione dei Diritti di Proprietà Intellettuale è lievemente migliorata, grazie ad una maggiore consapevolezza da parte dell'opinione pubblica e all'aumento del numero dei funzionari e giudici che hanno seguito corsi di formazione, rimangono da affrontare numerosi problemi.
In Turchia esiste anche il fenomeno dell'Italian sounding. Ultimamente si sta verificando un vero boom di registrazioni di marchi con nomi e simboli che richiamano l'Italia. Il fenomeno riguarda soprattutto l'abbigliamento, la pelletteria, l'arredamento e l'alimentare, in particolare i servizi di ristorazione nelle città più popolate ed alcuni prodotti alimentari (riso, pasta, vini, formaggi, cioccolateria, biscotteria, confetteria, gelati).
COMMERCIO AGROALIMENTARE
Nel corso del 2014 le esportazioni di prodotti agroalimentari verso la Turchia sono ammontate in valore a 201,172 milioni di euro con un aumento di circa il +12% rispetto al 2013. settori produttivi di maggiore interesse esportativo sono stati: formaggi, piante vive e floricoltura, caffè, cereali, cioccolata, prodotti della panetteria e pasticceria, margarina, preparazioni alimentari, vini, tabacchi grezzi.
Ben più consistenti, invece, i valori sul fronte importazioni agroalimentari provenienti dalla Turchia: i dati dello scorso anno si avvicinano ormai alla soglia del mezzo miliardo, (496 milioni, per la precisione, e con un tasso di crescita del +9% rispetto al 2013.
Le importazioni dalla Turchia hanno riguardato in particolare: prodotti della pesca, ortofrutticoli freschi e refrigerati, frutta a guscio (spiccano le nocciole che con 240 milioni di euro rappresentano il 48% dell'import agroalimentare totale), cereali, preparazioni di ortaggi e legumi e bevande alcoliche. L'intero paniere ortofrutticolo, comprese le preparazioni di frutta e ortaggi, coprono circa il 77% dell'import complessivo. Dall'incrocio dei due flussi e delle relative variazioni risulta un saldo commerciale negativo per l'Italia per 286 milioni di euro, con un aumento del deficit del 6,6% rispetto all'anno precedente.
Giorgio Starace
Massimiliano Cocciolo
PianetaPSR numero 42 - aprile 2015