Il nuovo ciclo di programmazione della Politica agricola comune è sempre più vicino, il via ufficiale è previsto per il primo di gennaio del 2023, e per gli Stati membri i tempi cominciano ad essere sempre più stretti. Entro la fine dell'anno, secondo il cronoprogramma previsto dalle proposte di regolamento UE, ogni Paese dovrà presentare ufficialmente la propria proposta di Piano strategico.
I lavori preparatori sono, come è ovvio, partiti da tempo e sono serviti per la definizione di una serie di importanti documenti di contesto che rappresentano la base di quello che sarà il "percorso nazionale" alla nuova PAC. In seguito, il lungo stallo nei negoziati a Bruxelles per l'adozione dei nuovi regolamenti e le emergenze causate dalla pandemia hanno fornito condizioni di incertezza per la prosecuzione dei lavori e l'assorbimento di risorse ed energie verso altre priorità.
Ferme restando le scadenze sopra indicate, appare evidente che occorra procedere con una accelerazione nella definizione della nuova strategia nazionale sulla base di una serie di scelte condivise tra le amministrazioni interessate e con il coinvolgimento del partenariato socio-economico. Tra le varie scelte da effettuare ce ne sono alcune che hanno carattere preliminare rispetto al resto e riguardano l'assetto complessivo della programmazione e la governance degli interventi.
In ragione dell'assetto costituzionale del nostro Paese, è condiviso tra le parti l'obiettivo di mantenere lo status quo per quanto riguarda l'attuazione. Vale a dire, il primo pilastro della PAC a trazione nazionale e lo sviluppo rurale a guida regionale. Tuttavia, rimane ancora da definire il modo in cui saranno programmati gli interventi nell'ambito del Piano strategico, soprattutto per il secondo pilastro della PAC.
Su tale aspetto, gli orientamenti della Commissione europea rendono possibile scegliere tra tre diversi approcci: 1) definizione di interventi uniformi a livello nazionale; 2) definizione di interventi uniformi ma con specificità regionali; 3) definizione di interventi puramente regionali.
La scelta non è semplice, dato che ogni opzione presenta una serie di pregi e difetti con importanti conseguenze sia sulla capacità di raggiungere gli obiettivi di sviluppo sia per le implicazioni gestionali per le amministrazioni che saranno coinvolte nell'attuazione.
La prima ipotesi, relativa agli interventi uniformi nazionali, fornirebbe indubbi vantaggi in termini di semplificazione nella redazione e gestione del Piano, tuttavia sacrificherebbe le specificità regionali definendo interventi poco aderenti ai fabbisogni territoriali.
La seconda, interventi uniformi con specificità regionali, prevede una struttura di base definita a livello nazionale con la possibilità da parte delle regioni di individuare le proprie specificità attraverso un processo di "fine-tuning" degli elementi di comuni oppure scegliendo da un menu di elementi regionalizzabili. In questo caso, la maggior complessità nella definizione degli interventi verrebbe compensata da una maggiore focalizzazione degli stessi sugli specifici fabbisogni locali.
Infine, la terza opzione, che prevede la definizione di interventi prettamente regionali all'interno del Piano strategico nazionale, darebbe la massima flessibilità alle Regioni in ambito programmatorio. Tuttavia, allo stesso tempo, renderebbe estremamente complesso ed articolato il Piano, con evidenti difficolta per la gestione, in particolare per le fasi di approvazione, modifica e monitoraggio degli interventi.
La scelta tra tali opzioni è resa ancor più difficile dal fatto che non è stato ancora raggiunto un accordo a Bruxelles sul tema della governance dei Piani strategici e l'esito negoziale non è irrilevante rispetto alle scelte da fare, in ragione della diversità delle posizioni in campo.
In particolare, la posizione della Commissione europea è rimasta ferma a quella definita nella proposta originaria ovvero un unico Piano strategico nazionale, al netto della possibilità di inserire i dettagli regionali con le modalità sopra esposte.
Il Parlamento europeo propone, invece, che vengano definiti dei Piani di intervento regionali da allegare al Piano strategico e da far approvare dalla stessa Commissione con decisione.
Infine c'è il Consiglio UE, non del tutto coinvolto dato che solo pochi paesi sono regionalizzati, nell'ambito del quale sono presenti sensibilità diverse tra gli Stati membri. Ci sono però alcuni punti fermi in comune sui quali è necessario far leva per definire una posizione unitaria nel negoziato: la necessità di individuare un ruolo adeguato per le Regioni e l'esigenza di definire un sistema semplice e flessibile che non ingessi le amministrazioni e che non danneggi, in definitiva, i beneficiari della PAC con meccanismi farraginosi.
In tale ambito, è fondamentale che l'Italia definisca i tratti salienti del modello di governance più adatto alle proprie esigenze attraverso un approccio pragmatico che tenga conto delle diverse posizioni in campo a livello europeo, per scongiurare soluzioni inefficaci ed inefficienti per il nostro contesto.
Stefano Angeli
CREA PB
PianetaPSR numero 100 marzo 2021